Procedura civile
Notifica, la firma illeggibile è ininfluente salvo che...
Autore: Infocds.it
Le presunzioni nel caso di notifica con firma illegittima

 
Notifica, la firma illeggibile è ininfluente salvo che...
Nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento con grafia illeggibile e non risulti, per non esserne stata indicata la qualità sull’avviso di ricevimento, che il consegnatario sia stato persona diversa dal destinatario, deve presumersi, fino a querela di falso, che la consegna sia stata effettuata nelle mani del destinatario, non rilevando che sull’avviso di ricevimento non sia stata barrata l’apposita casella.
Lo ha stabilito il CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – con la sentenza 19 gennaio 2018 n. 345.
Hanno aggiunto i giudici di Palazzo Spada che la trasmissione dell’atto a mezzo di raccomandata costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., salvo prova contraria, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo all’indirizzo del destinatario e di conoscenza dell’atto.


SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6131 del 2012, proposto dal signor Peter Moroder, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfred Mulser e Benedetto Giovanni Carbone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Benedetto Giovanni Carbone in Roma, via degli Scipioni, n. 288;
contro
Il Comune di Castelrotto, in persona del Sindaco protempore, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.R.G.A., Sezione autonoma autonoma della Provincia di Bolzano, n. 109/2012, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 30 novembre 2017 il Cons. Francesco Mele e udito l’avvocato Benedetto Carbone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 109 del 21 marzo 2012, il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano rigettava il ricorso n. 93 del 2010, proposto dal signor Moroder Peter, inteso ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione e rimessione in pristino del Sindaco del Comune di Castelrotto n. 7 del 15 febbraio 2010, n. 2064/BA/ND.
La sentenza esponeva in fatto quanto segue.
«E’ impugnata l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Sindaco del Comune di Castelrotto ha ordinato al signor Peter Moroder di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi della “baita p.ed. 1208 (spostata) ed il fienile p.ed. 1207 (spostata) sulla p.ff. 3808 CC Castelrotto in località Saltria d’Alpe di Siusi, nel “verde alpino” (Piano paesaggistico dell’Alpe di Siusi)»..
«In particolare, al ricorrente è stato ordinato di procedere alla “demolizione dell’avancorpo aggiuntivo presso la baita, la chiusura della finestra presso il fienile, la rimozione della porta vetrata dietro al portone del fienile, il ripristino dello stato di fatto approvato e della destinazione d’uso originaria dei locali fienile e la cessazione dell’uso del fienile per motivi abitativi».
«A sostegno del ricorso vengono dedotti i seguenti motivi d’impugnazione: 1) Inesistenza rispettivamente nullità della qui impugnata ordinanza del Sindaco del Comune di Castelrotto per mancata notifica; 2) Illegittimità della qui impugnata ordinanza del Sindaco del Comune di Castelrotto per eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, per difetto di istruttoria e di motivazione; 3) Illegittimità della qui impugnata ordinanza del Sindaco del Comune di Castelrotto per eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, per difetto di motivazione».
«Con ordinanza n. 239/2011 del 17-6-2011 il Tribunale ha ordinato incombenti istruttori che sono stati adempiuti dal Comune di Castelrotto mediante il deposito in segreteria dell’intero fascicolo della pratica edilizia in questione, sia copia dell’impugnata ordinanza munita dell’attestazione di notifica all’interessato».
Avverso la sentenza di rigetto il signor Peter Moroder ha proposto appello, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento dell’impugnata ordinanza.
Egli ha in proposito dedotto: 1) nullità dell’impugnata ordinanza di demolizione per mancata notifica al ricorrente – violazione degli artt. 81 l.p. 13/97, art. 7 legge 890/1982 e art. 156 c.p.c.; 2) cccesso di potere per travisamento dei fatti, assumendo la sentenza impugnata dei fatti in realtà insussistenti – difetto di motivazione sul punto; 3) illegittimità della sentenza impugnata per carenza di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso edilizio nel caso in cui il provvedimento repressivo sia intervenuto a considerevole distanza di tempo a causa dell’inerzia dell’amministrazione.
Il Comune di Castelrotto non si è costituito in giudizio.
Con l’ordinanza del 27 dicembre 2016, la Sezione ha disposto una Consulenza Tecnica di Ufficio.
Il signor Moroder ha prodotto osservazioni alla C.T.U. e una memoria conclusionale.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 30 novembre 2017.
DIRITTO
1. Con il primo motivo di appello il signor Moroder lamenta: illegittimità della sentenza impugnata per non aver dichiarato l’inesistenza o la nullità della impugnata ordinanza di demolizione per la mancata notifica al ricorrente, nonché la violazione dell’art. 81 l.p. n. 13/97, dell’art. 7 l. n. 890/1982 e dell’art. 156 c.p.c.
Egli censura la sentenza di primo grado nella parte in cui essa ha ritenuto la validità della notifica dell’ordinanza di demolizione ed evidenzia in proposito che la notifica per posta avviene ai sensi della legge n. 890/82, che prevede la firma, da parte del ricevente, della ricevuta di ritorno.
L’appellante rileva che la firma apposta sulla ricevuta di ritorno non sarebbe di suo pugno, onde l’ordinanza di demolizione non gli è stata mai notificata e tanto emergerebbe ictu oculi dal raffronto con altre firme di pugno del ricorrente, chiedendo, ove controparte dichiarasse di volersene avvalere, di essere autorizzato alla proposizione di querela di falso.
Egli deduce ancora che non varrebbe ritenere che la proposizione del ricorso giurisdizionale determini una sanatoria del vizio, non potendosi applicare la disposizione dell’art. 156, comma 3, c.p.c., trattandosi di una norma che opera solo per gli atti processuali e non anche per quelli di natura sostanziale.
2. Il motivo di appello è infondato, condividendo la Sezione la determinazione reiettiva adottata sul punto dal giudice di primo grado.
L’ingiunzione di demolizione costituisce certamente atto recettizio, atteso che esso impone obblighi in capo al destinatario e costituisce provvedimento limitativo della sfera giuridica dello stesso: costituiscono provvedimenti ricettizi quelli che facciano sorgere nuovi obblighi.
Occorre, peraltro, rilevare che la notifica ovvero la comunicazione del provvedimento recettizio non incide sulla sua legittimità, bensì sulla sua efficacia.
Ciò risulta chiaramente anche dall’articolo 21 bis della legge n. 241/1990, in base al quale «Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile».
La mancata o la irrituale comunicazione o notifica dell’ingiunzione di demolizione non può determinare un vizio di legittimità del provvedimento amministrativo, ma – se del caso – la sua inefficacia nei confronti del destinatario, nel senso che non cominciano a decorrere – fino a quando risulti la effettiva conoscenza dell’atto – sia il termine entro il quale va effettuata la demolizione, decorso il quale si verifica l’acquisto ipso iure del bene da parte del Comune, sia il termine per impugnare il provvedimento.
Nella vicenda in esame l’ordinanza n. 7/2010 risulta essere stata notificata tramite il servizio postale al signor Moroder Peter in data 26 febbraio 2010, per come emerge dalla ricevuta di ritorno presente negli atti del fascicolo di primo grado.
In essa si legge che la raccomandata è stata spedita il 24 febbraio 2010 al destinatario «Moroder Peter, SetilstraBe 7, 39046 st. Ulrich» e sulla stessa è apposta la firma del ricevente.
Orbene, la sentenza di primo grado non risulta censurabile, avuto riguardo ai contenuti del motivo di ricorso in proposito spiegato in primo grado.
Il signor Moroder, invero, si è limitato nel primo motivo di ricorso ad affermare: «in via preliminare si eccepisce la mancata notifica…dell’ordinanza in oggetto. Infatti, l’impugnata ordinanza non veniva mai consegnata ovvero recapitata al sig. Moroder Peter, il quale ne veniva a conoscenza soltanto aliunde. Quest’ultimo veniva a conoscenza dell’esistenza di un’ordinanza di demolizione emessa nei suoi confronti, solo a seguito di informazione pervenutagli da terze persone».
In relazione a tale deduzione, la sentenza di primo grado ha correttamente affermato che «Un tanto illustrato, va anzitutto precisato che, come risulta dalla documentazione della quale è stato ordinato il deposito in giudizio, l’ordinanza in contestazione risulta essere notificata in data 26-2-2010, mediante consegna a mezzo posta raccomandata a.r. presso l’abitazione dell’interessato (SetilstraBe 7, St. Ulrich). Solo per completezza di esposizione, va peraltro specificato che sulla cartolina di consegna della suddetta raccomandata a.r. (cartolina che reca la firma del ricevente) non risulta apposta alcuna annotazione riferita ad un’eventuale notifica in mani di persona diversa dal destinatario, sig. Moroder Peter, SetilstraBe 7, 39046 St. Ulrich. Né si aggiunge che l’interessato ha proposto querela di falso riguardo alla firma apposta sulla cartolina stessa. E’ pertanto infondata la censura di “inesistenza rispettivamente nullità” di cui al primo motivo di impugnazione».
Orbene, giacchè, nell’atto introduttivo e nel corso del giudizio (per quanto risulta dagli scritti difensivi di primo grado), l’appellante non ha proposto una formale querela di falso, il Tribunale ha affermato correttamente l’infondatezza del motivo di ricorso.
Rileva il principio generale in base al quale, nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento con grafia illeggibile e non risulti, per non esserne stata indicata la qualità sull’avviso di ricevimento, che il consegnatario sia stato persona diversa dal destinatario, deve presumersi, fino a querela di falso, che la consegna sia stata effettuata nelle mani del destinatario, non rilevando che sull’avviso di ricevimento non sia stata barrata l’apposita cartella.
Va, di poi, evidenziato che nella specie vi è stata trasmissione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata e, al riguardo, rileva la giurisprudenza per la quale (cfr. Cass. civ., Sez. II, 28 novembre 2013, n. 26678), secondo la quale la trasmissione dell’atto a mezzo di raccomandata costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c., salvo prova contraria, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo all’indirizzo del destinatario e di conoscenza dell’atto.
Inoltre, nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio «firma del destinatario o di persona delegata» e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente a persona diversa da quelle indicate dall’art. 7, comma 2, l. n. 890 del 1982, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario (Sez. Un., 27 aprile 2010, n. 9962).
Ciò posto, il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tali principi, verificando che l’ordinanza risultava comunicata a mezzo di raccomandata postale all’indirizzo del signor Moroder e che lo stesso non aveva, attraverso proposizione di querela di falso o richiesta di termine in proposito, contestato che la sottoscrizione riportata nel suddetto avviso di ricevimento non fosse propria.
Invero, solo nell’atto di appello il signor Moroder afferma di non avere mai ricevuto la suddetta ordinanza, in quanto la firma apposta sulla ricevuta di ritorno non è di suo pugno.
Tale contestazione, per inficiare la gravata sentenza, si sarebbe dovuta svolgere già nel giudizio di primo grado, giacchè, a seguito dell’istruttoria disposta dal Tribunale, egli aveva avuto contezza della documentazione fondante l’avvenuta notificazione.
Egli, invece, la propone in appello, contestando i contenuti della sentenza che non risultano censurabili, in considerazione degli atti acquisiti e delle deduzioni difensive della parte sul punto.
3. In ogni caso, va comunque rilevato che il motivo di appello non può essere accolto anche per un’altra rilevante ed assorbente ragione.
Nella specie non è in contestazione la tempestività del ricorso di primo grado, sicché è del tutto irrilevante la questione su cui ha tanto insistito l’appellante.
Nella specie, l’interessato ha avuto piena conoscenza dell’ordine di demolizione, tanto che ha proposto il ricorso di primo grado, con la sua produzione in giudizio.
Non si tratta, dunque, nel caso di specie di fare applicazione degli artt. 156 e 160 c.p.c., ma di attribuire rilevanza ad una situazione equipollente alla comunicazione dell’atto recettizio, giacchè ne realizza le finalità e lo scopo di tutela del soggetto inciso.
Le esigenze ad essa sottese trovano realizzazione anche attraverso una conoscenza aliunde raggiunta, purchè risulti che la determinazione provvedimentale provenga dall’Amministrazione, che questa abbia inteso dirigerla nei confronti del privato, fermo restando l’efficacia della stessa dal momento della acquisita conoscenza.
Le considerazioni sopra svolte denotano, pertanto, l’infondatezza del motivo di appello, nonché della richiesta di termine per proposizione della querela di falso, atteso che un eventuale accertamento della non riferibilità della sottoscrizione apposta sull’avviso di avvio del procedimento all’appellante non risulterebbe utile a determinare l’illegittimità della impugnata ordinanza.
4. Con il secondo motivo di appello il signor Moroder lamenta eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di motivazione.
Egli ribadisce che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto della circostanza che l’amministrazione ha posto a base dell’ordine di demolizione fatti che non trovano riscontro nella realtà o che comunque sono stati oggetto di una erronea valutazione.
Egli rileva di aver contestato le affermazioni del Comune, riportate nell’ordinanza impugnata, secondo cui dietro la porta del fienile è stata apposta una porta vetrata, è stata aperta una finestra sul lato sud dello stesso e che questo è utilizzato a fini abitativi e lamenta che il Comune e la sentenza di primo grado non hanno tenuto conto delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà prodotte dai signori MahalKnecht e Runggaldier, i quali hanno dichiarato che:
– la finestra sul lato sud del fienile esiste fin dall’erezione dello stesso nel 1975;
– il fienile non viene usato a fini abitativi;
-che dietro al portone del fienile non esiste alcuna porta vetrata;
– l’ampliamento della baita è stato effettuato nel 1997.
Dalle fotografie prodotte emergerebbe, inoltre, che non vi è destinazione a fini abitativi e che non vi è alcuna porta vetrata, evidenziando che il Comune non ha effettuato alcun accertamento in loco, basandosi esclusivamente sugli accertamenti della Guardia Forestale del 23 settembre 2008, la quale, non potendo entrare nel fienile, si è limitata ad affermare che «sembra che il fienile non venga più usato secondo la propria destinazione».
Egli aggiunge ancora che le particelle ed. n. 1207(fienile) e 1208 (baita) non sono di sua proprietà, ma intavolate a favore di certo Moroder Osvaldo, onde l’ordinanza sarebbe per questo motivo illegittima, in quanto non notificata al proprietario della costruzione.
Tale ultima doglianza, a giudizio della Sezione, va respinta in quanto la disposta C.T.U. (v. pag. 4) ha acclarato che il fienile e la baita oggetto dell’ingiunzione comunale costituiscono in realtà le PED 3956 (fienile) e 3957 (baita), le quali risultano di proprietà dell’appellante, evidenziando che «la proprietà dei fondi perviene all’attuale ricorrente tramite contratto di donazione del 14-12-1976»: le due nuove costruzioni sono state misurate e rappresentate graficamente nella loro esatta posizione, con assegnazione delle nuove misurazioni PED 3956 e 3957, con tipo di frazionamento n. 440/2009, mentre non sono state estinte le vecchie PED 1207 e 1208 costituenti le costruzioni preesistenti, ormai demolite.
Tanto premesso, rileva il Collegio che l’esame del motivo di appello impone la valutazione della legittimità delle opere realizzate dal signor Moroder, tenendo conto dei contenuti della impugnata ingiunzione di demolizione e delle risultanze del disposto accertamento tecnico.
Quanto alla ordinanza di demolizione n. 2064 del 15 febbraio 2010, va evidenziato che essa, tra l’altro, rileva «che è stata rilasciata la concessione edilizia prot. n. 1173, pratica edilizia 32/79 in data 22.08.79 al sig. Moroder Peter per la ricostruzione della baita con spostamento di circa 35 mt. In data 24.09.2008 è arrivata al Comune una segnalazione da parte della Forestale che la baita sulla p.f. 3808 ultimamente è stata ampliata con un avancorpo aggiuntivo di 2,20 m. per 4,20 m. e che presso il fienile è stata apportata una porta vetrata e che sembra che i locali del fienile non vengono più usati per la destinazione d’uso originaria, ma che vengono usati per motivi abitativi. Il Capo ufficio tecnico geom. Norberto Demetz ha constatato che sia il fienile che anche la baita di fatto non sono stati ricostruiti sul posto segnato nei progetti, ma che sono stati spostati di ca. 350 m. in direzione nord-ovest, che attualmente si trovano più in alto di circa 30 m. s.l.m. e che questa situazione non è mai stata riportata nella mappa catastale …..CONSTATATO che non è stato mai presentato un progetto in sanatoria; che la Forestale, dopo un controllo d’inverno, ha comunicato in data 17.02.2010 che né l’ampliamento illegale della baita né la finestra presso il fienile sono stati ripristinati….Ordina….la demolizione dell’avancorpo aggiuntivo presso la baita, la chiusura della finestra presso il fienile, la rimozione della porta vetrata dietro al portone del fienile, il ripristino dello stato di fatto approvato e della destinazione d’uso originaria dei locali del fienile e la cesssazione dell’uso del fienile per motivi abitativi, riguardante la baita (p.ed. 1208 spostata) ed il fienile (p. ed. 1207 spostata) sulla p.f. 3808, CC Castelrotto in località Saltria all’Alpe di Siusi, nel “Verde Alpino” (Piano paesaggistico dell’Alpe di Siusi), ponendogli un termine di 90 (novanta) giorni dal ricevimento della presente ordinanza».
Rileva la Sezione che dalla lettura della richiamata ordinanza emerge che la ricostruzione del fienile e della baita è stata effettuata in area di sedime diversa rispetto a quella autorizzata (nell’ordinanza di demolizione si parla di uno spostamento di circa 350 mt., mentre nella relazione del tecnico comunale del 14 ottobre 2010 si riferisce di una distanza inferiore, di circa 110 mt., la quale viene considerata dal C.T.U., a pagina 5 della relazione, attendibile, precisando ancora, a pagina 17, che i due fabbricati preesistenti erano posti nelle immediate vicinanze di quelli attuali).
Tuttavia, deve essere evidenziato che il suddetto spostamento sull’area di sedime non risulta oggetto di sanzione nella impugnata ordinanza.
Invero, ove mai tale provvedimento avesse inteso sanzionare lo spostamento dei manufatti sull’area di sedime (nei termini di una variazione essenziale rispetto al progetto approvato), avrebbe dovuto ingiungere l’integrale demolizione degli stessi.
Al contrario, l’ordinanza sindacale per cui >

Note:
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è causa si è limitata a disporre «la demolizione dell’avancorpo aggiuntivo della baita, la chiusura della finestra presso il fienile, la rimozione della porta vetrata dietro al portone del fienile, il ripristino dello stato di fatto approvato e della destinazione d’uso dei locali del fienile e la cessazione dell’uso del fienile per motivi abitativi».
L’esame della legittimità del provvedimento impugnato deve, pertanto, essere limitato ai suddetti abusi, i quali risultano oggetto di specifica sanzione e, dunque, restano estranei al presente giudizio eventuali altri illeciti, che non afferiscono al contenuto dell’ordinanza impugnata.
Tale precisazione vale non solo per lo spostamento dei manufatti, ma anche per le altre difformità rilevate dal Consulente Tecnico, le quali non sono state oggetto di accertamento né di altri provvedimenti repressivi del Comune.
Ciò posto, devono essere singolarmente esaminate le opere abusive sopra specificate.
Quanto alla realizzazione di una porta vetrata dietro al portone del fienile ed alla destinazione d’uso abitativa dello stesso, va evidenziato che la disposta CTU ha acclarato che tale porta vetrata non esiste in loco e che il fienile, in relazione a quanto all’interno presente ed alla sua destinazione, non è utilizzato per fini abitativi.
Le suddette circostanze determinano l’improcedibilità dell’appello, considerandosi che, a prescindere dal fatto del se effettivamente le opere (acclarate dalla segnalazione della Forestale del 24 settembre 2008) fossero state in concreto realizzate dal signor Moroder, emerge in ogni caso che le stesse risultano essere state rimosse, con conseguente adempimento dell’ordine impartito con il provvedimento sindacale.
Tale adempimento esclude che, in relazione ad esse, possano essere adottati ulteriori provvedimenti da parte del Comune, con la conseguenza che alcuna utilità potrebbe trarre il privato da un accoglimento del presente appello e dall’annullamento, per tale parte, della ingiunzione di demolizione e rimessa in pristino.
Quanto alla realizzazione della finestra realizzata nel fienile, ritiene la Sezione che l’appello sia infondato.
La finestra, invero, risulta essere stata realizzata ed il C.T.U. ne ha constatato la presenza, descrivendola come un finestrino delle dimensioni di «cm. 61 per 56 aperto sul fronte sud del fabbricato (verso valle) e provvisto di scuretto esterno cieco in legno».
Orbene, tale apertura è sicuramente abusiva, in quanto non prevista nel progetto presentato per la «ricostruzione del fienile PED 1207» (Progetto dd. 14.8.1975…pratica edilizia n. 95/75).
Sul punto il Collegio ritiene di non condividere le conclusioni alle quali è giunto il Consulente Tecnico.
Questi afferma (pag. 7) che «l’elaborato (invero estremamente sommario, da qualificare più come schizzo che progetto) contiene soltanto la rappresentazione schematica di due fronti del fabbricato, da cui si deducono le misure di m 9 per 7,50 in pianta con altezza massima di m. 5,00. Il fascicolo progettuale contiene anche due foto dei vecchi fabbricati».
Egli conclude, pertanto, a pagina 9 della relazione, che «Considerata la sommarietà del progetto, che comprende soltanto il disegno del fronte a monte e di quello laterale (est o ovest), non vi sono elementi per ritenere abusiva l’apertura in oggetto».
Rileva, al contrario, il Collegio che dall’esame dei grafici prodotti non risulta la presenza della suddetta apertura e che non emerge dalla domanda presentata dal privato la richiesta di autorizzazione alla realizzazione della suddetta apertura.
Da tanto consegue che la stessa è abusiva, in quanto non può ritenersi essere stata autorizzata dal Comune.
Le opere autorizzate dall’ente sono, invero, quelle espressamente richieste dal privato, sulle quali l’amministrazione ha avuto modo di pronunciarsi mediante il rilascio del titolo abilitativo.
Di conseguenza, non può ritenersi che la sommarietà del progetto renda l’opera non abusiva, considerandosi che deve essere ritenuto tale qualsiasi intervento non oggetto di espresso assenso da parte dell’ente.
L’appello è, inoltre, infondato anche con riferimento alla ingiunta demolizione dell’avancorpo aggiuntivo presso la baita, dovendosi ritenere anche per esso l’abusività.
Tale carattere viene confermato dalle risultanze della disposta C.T.U.
Questa rileva in proposito quanto segue.
«2. BAITA
a) Ampliamento lato nord (“avancorpo aggiuntivo” dell’ordinanza).
E’ stato aggiunto in aderenza sul fronte nord un corpo accessorio con misure esterne di m 2,32 per 4,46 ed altezza interna variabile tra m. 2,27 e m. 2,69, comunicante con la zona cucina-soggiorno del fabbricato principale attraverso una porta. L’accessorio comprende un unico vano, provvisto di un finestrino sul lato nord da cm. 72 per 72, ed ha destinazione evidente a “stanza da letto”. Per la realizzazione dell’ampliamento, il terreno in pendenza è stato inciso, sbancato e spianato verso monte immediatamente sotto il fienile. L’area di sedime è aumentata da mq. 21,24 a mq. 31, 58 (diventando superiore al limite assoluto di 30 mq. di cui all’art. 4, comma (e).1 delle Norme di attuazione del Piano Paesaggistico…L’intervento è da ritenersi totalmente abusivo».
Va, invero, evidenziato che tale avancorpo non è presente nel progetto relativo alla ricostruzione della baita presentato il 6 marzo 1979 (pratica edilizia n. 32/79) e, di conseguenza, non risulta essere mai stato assentito dal Comune.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte deve, pertanto, ritenersi in parte l’improcedibilità ed in parte l’infondatezza del secondo motivo di appello.
5. Deve a questo punto passarsi all’esame dell’epoca di realizzazione delle opere oggetto della impugnata ordinanza di demolizione, al fine di verificare se la risalenza della stessa valga a determinare l’illegittimità del gravato provvedimento.
Invero, con il terzo motivo di appello il signor Moroder lamenta l’illegittimità della sentenza impugnata per carenza di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso edilizio nel caso in cui il provvedimento repressivo sia intervenuto a considerevole distanza di tempo a causa dell’inerzia dell’amministrazione.
Egli afferma che l’ente che interviene a reprimere abusi edilizi compiuti tanto tempo addietro deve motivare tale intervento con particolare riferimento all’interesse pubblico concreto ed attuale in ordine all’intervento.
L’interessato evidenzia, ancora, che nel caso di specie il Comune non solo era rimasto inerte per lungo periodo di tempo, ma aveva persino dichiarato, con lettera circolare del 6 maggio 2010, che ove fossero passati più di 10 anni dal compimento del presunto abuso, il procedimento avrebbe potuto essere archiviato, non sussistendo più alcun interesse pubblico all’esercizio del potere repressivo.
Egli aveva, inoltre, prodotto nel giudizio di primo grado atti sostitutivi di notorietà dei sig.ri Mahknecht e Runggaldier, allegati alle osservazioni presentate al Comune il 20 aprile 2010, così dando prova della circostanza che, se abuso vi fosse stato, questo era stato compiuto nel 1997 e, quindi, più di 10 anni prima dell’accertamento.
L’appellante deduce, pertanto, l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha affermato che «Non appaiono, infine, suffragate da alcun concreto principio di prova le deduzioni con le quali il ricorrente vorrebbe retrodatare l’esecuzione di alcuni dei contestati lavori» e che «costituisce peraltro pacifico principio giurisprudenziale quello in base al quale spetta all’interessato fornire prova della data di ultimazione delle opere abusivamente eseguite, qualora intenda avvalersi di provvedimenti di sanatoria condizionati a precise scadenze temporali, ovvero invocare il difetto o la carenza di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso edilizio nel caso in cui il provvedimento repressivo sia intervenuto a considerevole distanza di tempo a causa dell’inerzia dell’amministrazione».
La disposta C.T.U., in relazione all’epoca di realizzazione dei lavori, evidenzia quanto segue.
«Dalla documentazione comunale non risultano dichiarazioni di inizio lavori, ma tenuto presente che questo era da farsi tassativamente – pena la decadenza della concessione – entro un anno dal rilascio, è ragionevole supporre che le due edificazioni siano state effettivamente avviate entro tale termine, vale a dire il 1977 per il fienile e il 1980 per la baita. Nella foto all. 6 TRGA è visibile la nuuova costruzione del fienile appena iniziata con indicazione manuale sul retro della data 15-9-1977.
– La carta fotogrammetrica del 1982 riporta baita e fienile nella posizione attuale; la carta fotogrammetrica del 1997 riporta anche l’ampliamento della baita, principale oggetto del presente procedimento.
– Il censimento delle baite dell’Alpe eseguito dal Comune nel 1983 riporta baita e fienile con la vecchia numerazione catastale; è da supporre che una situazione di grave degrado come quella risultante dalle foto in atti sarebbe stata oggetto di annotazione specifica.
Gli elementi sopra riportati sono sufficienti a inferire che nuova baita e nuovo fienile esistevano certamente fin dall’inizio degli anni 80; l’ampliamento abusivo della baita esisteva già nel 1997. Non vi sono invece elementi per determinare l’effettiva epoca costruttiva degli abusi “minori” come sopra elencati (finestre etc.) ma è lecito supporli contemporanei alla costruzione…..
Osserva il ricorrente nella più recente memoria 15.6.2017 che le due dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà già allegate al procedimento dinanzi al TRGA contengono indicazione delle date di costruzione dei due fabbricati, vale a dire 1975 per il fienile e 1997 per l’ampliamento della baita.
Nella stessa memoria si fa anche menzione e documenta la richiesta di archiviazione e l’ordine di archiviazione del GIP dd. 01.02.2011 nel procedimento penale a carico di Moroder Peter per abusi edilizi, citando il fatto che ivi risulta provata la data di costruzione dei fabbricati».
Rileva la Sezione, sulla base degli accertamenti e della documentazione esaminata dal C.T.U., che effettivamente può dirsi dimostrata la risalenza degli abusi a data non recente, sicuramente superiore ai dieci anni precedenti l’adozione della misura sanzionatoria da parte del Comune.
Può, dunque, ritenersi plausibile l’epoca di realizzazione del fienile al 1977 ed al 1980 per la baita, specificandosi che l’ampliamento abusivo di quest’ultima può ragionevolmente collocarsi nell’anno 1997.
Orbene, se tali elementi inducono a ritenere certamente la risalenza degli abusi e, dunque, a contraddire l’affermazione della gravata sentenza, secondo cui non vi sarebbe prova della retrodatazione di alcuni dei contestati lavori, al fine di invocare l’illegittimità del provvedimento comunale per non avere motivato in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’abuso edilizio, va comunque considerato che essi non comportano l’illegittimità del provvedimento impugnato.
In buona sostanza, parte appellante si richiama a quella tesi secondo la quale, nel caso di abusi risalenti nel tempo, il provvedimento di demolizione dovrebbe comunque essere suffragato sul piano motivazionale, oltre che dalla indicazione del carattere abusivo delle opere e delle relative ragioni, anche da una pregnante motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla eliminazione degli stessi.
La tesi non può essere condivisa, anche alla luce di quanto recentemente affermato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio con la sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017.
L’Adunanza Plenaria ha, in proposito, enunciato il seguente principio di diritto: «il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino».
E’ stato in proposito affermato che:
– nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo. Allo stesso modo tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a generare un’aspettativa giuridicamente qualificata;
– non sarebbe in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem;
– il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione e, pertanto, deve essere escluso che l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata.
Osserva, invero, la Sezione che il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento (cfr. Cons. Stato, VI, 27 marzo 2017, n. 1386).
Inoltre, l’ordine di demolizione presenta un carattere rigidamente vincolato e non richiede né una specifica motivazione in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, né una comparazione fra l’interesse pubblico e l’interesse privato al mantenimento in loco dell’immobile. Ciò in quanto non può ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può in alcun modo legittimare (cfr. Cons. Stato, 28 febbraio 2017, n. 908; Sez. IV, 12 ottobre 2016, n. 4205).
Alle medesime conclusioni l’Adunanza Plenaria giunge anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, valorizzando in proposito il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo, elementi sui quali non può incidere la diversità soggettiva tra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario dell’immobile, escludendosi che in tal caso sia imposto all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale.
Sulla base delle sopra esposte considerazioni, pertanto, la Sezione ritiene che anche il terzo motivo di appello sia infondato, dovendosi confermare la determinazione reiettiva assunta sul punto dal giudice di primo grado, sia pure con diversa motivazione.
Deve, dunque, ritenersi che l’impugnato provvedimento di demolizione, pur se adottato a considerevole distanza di tempo dalla commissione degli abusi, non abbisognasse di peculiare motivazione sull’esistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione degli stessi.
Né, può, a suffragare la tesi di parte appellante, operarsi riferimento alla ‘lettera circolare’ del 6 maggio 2010, dove il Comune ha dichiarato «che, ove fossero passati più di 10 anni dal compimento del presunto abuso, il procedimento potrebbe essere archiviato, in quanto non sussiste più alcun interesse pubblico all’esercizio del potere repressivo» (così, punto 3.2 dell’atto di appello).
In disparte la formula condizionale utilizzata (la quale non attribuisce certezza in ordine al non perseguimento degli abusi), occorre evidenziare che la suddetta nota – palesemente contraria alla normativa vigente e basata su una erronea interpretazione dei principi giurisprudenziali – non costituisce titolo alcuno di legittimazione delle opere (quali un titolo abilitativo anche in sanatoria), con la conseguenza che con l’adozione della impugnata ordinanza di demolizione non si è esercitato alcun potere di autotutela, dal quale far derivare i peculiari obblighi motivazionali previsti per il suo esercizio in termini di sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto al ritiro del precedente atto.
La richiamata nota comunale, invero, in relazione a natura e contenuti, nonché avuto riguardo al carattere doveroso del potere di repressione degli abusi edilizi, non è, dunque, idonea a costituire, in capo al privato, una legittima posizione di affidamento.
6. Da ultimo, ritiene la Sezione che non ha rilievo la circostanza, dedotta nella memoria depositata il 26 ottobre 2017, che in realtà l’ampliamento della baita non ha costituito incremento della volumetria degli originari manufatti, risultando appoggiata al vecchio fienile sul lato sud una ulteriore costruzione in legno.
Va, invero, osservato che l’abuso edilizio si configura, nella attuale legislazione, quale illecito formale, nel senso di opera realizzata in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, a prescindere dalla conformità o meno dell’opera alla normativa urbanistico-edilizia.
Tale ultima circostanza incide sulla possibilità di rilascio di un titolo edilizio in sanatoria, ma non esclude l’abusività dell’opera (e, pertanto, la legittimità dell’intervento repressivo) tutte le volte in cui – come è avvenuto nella specie – il manufatto edilizio non risulti assistito da un atto di assenso.
7. Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, dunque, l’appello deve essere in parte dichiarato improcedibile ed in parte rigettato, nei sensi in motivazione specificati.
La sentenza di primo grado deve, pertanto, essere confermata, sia pure in parte con diversa motivazione.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, Sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Nulla è dovuto per le spese del presente grado del giudizio, in considerazione della mancata costituzione in giudizio del Comune di Castelrotto.
Le spese della Consulenza Tecnica di Ufficio sono poste a definitivo carico dell’appellante, signor Moroder Peter e vengono liquidate, in favore dell’ing. Antonio Peretti, in complessivi euro 3222, 08 (di cui euro 2600 per onorario ed euro 622,08 per spese), oltre contributi previdenziali ed IVA.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6131 del 2012, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara improcedibile ed in parte lo rigetta, nei sensi in motivazione specificati.
Nulla per le spese del grado del giudizio in favore del Comune di Castelrotto, non costituito.
Condanna il signor Moroder Peter al pagamento delle spese della Consulenza Tecnica di Ufficio e liquida le stesse, in favore dell’ing. Antonio Peretti, in complessivi euro 3222,08 (di cui euro 2600 per onorario ed euro 622,08 per spese), oltre contributi previdenziali ed IVA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Mele Luigi Maruotti


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